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Anche se non percepito, la locazione concorre a formare il reddito complessivo

I canoni da locazione immobiliare, anche se non effettivamente percepiti, concorrono ai fini della determinazione del reddito imponibile, indipendentemente dalla causa della mancata riscossione, fatti salvi i correttivi espressamente previsti dall’art. 26 TUIR per i casi di sfratto per morosità del conduttore. La distinzione fra canone locatizio non riscosso e canone “usurpato” è del tutto “sterile”, essendo il reddito fondiario per sua natura collegato dalla titolarità del diritto reale a prescindere dalla percezione del provento.

A questo proposito, l’Agenzia delle Entrare, con la C.M. n. . 11/E/2014 ha precisato, con riferimento alle locazioni di immobili ad uso abitativo, che i canoni, se non percepiti, non concorrono alla formazione del reddito complessivo del locatore dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Conseguentemente, tali canoni non devono essere riportati nella relativa dichiarazione dei redditi se, entro il termine di presentazione della stessa, si è concluso il procedimento di convalida di sfratto per morosità: nel caso in cui il giudice confermi la morosità del locatario anche per i periodi precedenti al provvedimento giurisdizionale, al locatore è riconosciuto un credito d’imposta di ammontare pari alle imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti.

La contestuale sussistenza di tali condizioni legittima il proprietario a non dichiarare il reddito fondiario relativo ai canoni non riscossi, consentendogli di indicare esclusivamente la rendita catastale. Qualora il provvedimento di convalida di sfratto si concluda dopo il termine ultimo per la presentazione della dichiarazione dei redditi, costringendo il contribuente a dichiarare i canoni non riscossi nonché a versare le relative imposte, quest’ultimo ha la possibilità, in occasione della prima dichiarazione dei redditi utile e comunque entro il termine di prescrizione decennale, di determinare un credito d’imposta in ragione delle imposte versate sui canoni non riscossi. Il credito d’imposta può essere utilizzato in compensazione con altre imposte a debito oppure chiesto a rimborso. Nel caso in cui il contribuente abbia usufruito del credito d’imposta per i canoni non riscossi, e successivamente tali fitti vengono incassati, anche parzialmente, è necessario dichiarare i canoni tra i redditi assoggettati a tassazione separata. Il locatore che concede in locazione un’immobile commerciale (locali commerciali, capannoni) non gode delle medesime tutele, dovendo versare le imposte sui canoni non riscossi anche se il procedimento di convalida di sfratto si è concluso. L’evidente discriminazione tra locatori che affittano per finalità abitativa e quelli che locano per finalità commerciale è stata colmata da un’importante sentenza della Corte Costituzionale, la n. 326/2000, secondo cui i canoni di locazione sono tassati, a prescindere dalla loro percezione, fino a quando risulta vigente un contratto di locazione e, quindi, è tecnicamente dovuto un canone locativo: è possibile evitare la tassazione quando la locazione è cessata, oppure si è verificata una qualsiasi causa di risoluzione contrattuale (per inadempimento, specifica clausola risolutiva espressa di cui all’art. 1456 c.c., risoluzione a seguito di diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., alla azione di convalida di sfratto ex artt. 657 e ss del c.p.c.), con dichiarazione da parte del proprietario di avvalersene, provocando lo scioglimento delle reciproche obbligazioni e l’insorgenza del diritto alla restituzione dell’immobile. Conseguentemente, la risoluzione di un contratto di locazione legittima anche il locatore dell’immobile abitativo a non dichiarare i canoni non riscossi. I principi giuridici appena esaminati sono stati più volte confermati dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 11158/2013, 22588/2013, 651/2012, con le quali è stata sancita la tassabilità dei canoni di locazione, ad uso abitativo e commerciale, non riscossi per morosità del conduttore fino al momento della risoluzione contrattuale anche non giudiziale. L’ Uppi si batte da tempo a livello nazionale affinchè il principio, già più volte enunciato dalla Cassazione, venga recepito anche dall’Agenzia delle Entrate.

 

 

 

 

 

 

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